Vivisezione e cancro

Gianni Tamino

Ci potrebbero essere altri 15 milioni di malati di cancro nei prossimi vent'anni: il 50 per cento in più di quelli oggi accertati. E' quanto si legge in questi giorni nel World Cancer Report, un documento di 351 pagine redatto dall'International Agency for Research on Cancer (IARC), un'agenzia internazionale di ricerca sul cancro che appartiene all'Organizzazione mondiale della sanità. Il documento fa il punto sulla diffusione dei tumori nel mondo, le forme più frequenti e i trattamenti disponibili. Certamente questo dato è ben contrastante con quanto si poteva leggere sui giornali e le riviste degli ultimi cinquant’anni: periodicamente, infatti, si ritrovano affermazioni del tipo “presto sconfitto il cancro” oppure “trovata terapia contro i tumori” o “nei prossimi dieci anni debellato il cancro”.

In realtà a cinquant’anni di distanza da queste dichiarazioni non solo i tumori sono ben presenti nella società moderna, ma sono anche in crescita nei paesi in via di sviluppo.

Come mai un errore così clamoroso da parte dei ricercatori e dei medici di tutto il mondo?

La spiegazione va cercata nel metodo adottato per affrontare il problema: cercare una cura, studiando gli animali. In questa scelta vi sono tutta una serie di errori: l’uso degli animali come modelli dell’uomo, l’impiego di animali da laboratorio stabulati in gabbie, l’utilizzo di test di cancerogenesi sugli animali e la scelta di non cercare la prevenzione dei tumori, ma la ben più lucrosa, per le case farmaceutiche, cura farmacologica.

Queste considerazioni sono state ampiamente discusse nel mondo scientifico e, recentemente, hanno trovato spazio in un articolo della rivista ‘Scientific American’, pubblicato in Italia da ‘Le Scienze’ (Aprile 1997). Scrivono, infatti, N. D. Barnard e S. R. Kaufman: “ I ‘modelli’ animali sono, nel migliore dei casi, una buona imitazione delle condizioni umane, ma nessuna teoria può essere approvata o respinta sulla base di un’analogia. Ciò non dimeno, quando si discute sulla validità di teorie contrapposte in medicina e biologia, si citano spesso come prova gli studi condotti su animali. In un contesto di questo tipo, gli esperimenti sugli animali servono, in primo luogo, come accorgimento retorico. E, utilizzando differenti tipi di animali in differenti protocolli, gli sperimentatori possono trovare prove a sostegno di qualunque teoria. Per esempio, si sono utilizzati esperimenti sugli animali sia per provare sia per negare il ruolo cancerogeno del fumo.”

Ma non solo è sbagliato studiare caratteristiche e sviluppo dei tumori umani negli animali, ma anche verificare se un agente chimico o fisico (sostanze e radiazioni) possa essere cancerogeno per l’uomo utilizzando test su animali. Il prof. Ames, Preside della Facoltà di Biochimica dell'Università di California e autore di un famoso test di cancerogenesi su batteri, disse qualche anno fa: "I rischi di tumore determinati da sostanze tossiche si studiano con esperimenti su topi e ratti, e il 42% delle sostanze finora esaminate si è rivelato positivo nel topo e negativo nel ratto, oppure il contrario. Quindi se due animali strettamente imparentati e di vita breve come il topo e il ratto forniscono risposte completamente diverse, se ne deve dedurre che la trasposizione dei risultati all'uomo è estremamente opinabile".

Per queste ragioni è ragionevole verificare mutagenesi e cancerogenesi con prove semplici, economiche e facilmente ripetibili come il già citato test di Ames sui batteri, il test di trasformazione cellulare, la verifica di aberrazioni cromosomiche e di SCE (scambi tra cromatidi fratelli del cromosoma), il test dell'eluizione alcalina del DNA, estratto da cellule trattate e così via, tutte prove che permettono di verificare un'azione mutagena o cancerogena della sostanza in tempi di pochi giorni o poche settimane e a costi bassissimi, rispetto agli anni e agli elevati costi richiesti dai test su animali.

Come afferma P. Croce: "I risultati tossicologici sulle colture di cellule umane potranno anche essere parziali, ma sono sicuramente riferibili all'uomo; i risultati delle prove tossicologiche nell'animale sono globali, ma valgono solo per quella specie animale e soltanto per caso coincidono, talvolta, con quelli umani: questo possiamo saperlo soltanto "a posteriori", dopo aver provato sull'uomo".

Come mai le aziende preferiscono utilizzare i test sugli animali più lunghi e costosi? La risposta sta nel fatto che da una parte, come già detto, un test su animale può essere utilizzato per avere la risposta più gradita (tali test sono serviti per dire sia che il fumo di sigaretta è cancerogeno come per negarlo), dall’altra per rendere impossibile un controllo sui milioni di diversi composti chimici messi in commercio negli ultimi vent’anni.

La soluzione però non sta solo nel fare sperimentazione più valida con metodi scientifici sostitutivi della vivisezione, ma soprattutto nel mettere in discussione un modello sanitario basato solo su cure farmacologiche e terapie clinico-chirurgiche.

La logica è: “ammalatevi pure, che in qualche modo vi cureremo”, e poco importa se la cura crea nuove malattie, a carattere iatrogeno (cioè provocate dall’intervento medico), tanto anche per queste vi saranno nuove cure e nuovi profitti. Pensare di porre rimedio ad una malattia provocata da un alterato rapporto tra uomo e ambiente, come nei tumori dovuti all’interazione con sostanze chimiche artificiali, somministrando nuove sostanze chimiche di sintesi, come i farmaci, risulta illusorio e fuorviante.

Da tempo è noto il rapporto tra ricerca sui tumori e interessi delle case farmaceutiche. Robert Sharpe nel 1988 (The Cruel Deception, Thorsons Publishing Group, U.K.) scriveva: “…nella nostra cultura curare le malattie garantisce enormi profitti, al contrario della  prevenzione. Nel 1985 il mercato delle terapie contro il cancro di USA, Europa Occidentale e Giappone era stimato in oltre 3.2 miliardi di sterline, con un costante incremento annuale del 10 percento rispetto ai cinque anni precedenti. Prevenire la malattia non costituisce un guadagno per nessuno, se non per il paziente. Così come l’industria farmaceutica prospera sulla mentalità di “una pillola per ogni male”, così molti dei principali istituti medici di beneficenza sono finanziariamente sostenuti dal sogno della cura miracolosa, appena dietro l’angolo.”  E nel 1992 Hans Ruesch (in Naked Empress - the Great Medical Fraud, CIVIS, Massagno/Lugano) ricordava: “Nonostante sia generalmente riconosciuto che l’85 percento di tutti i cancri sia provocato da influenze ambientali, meno del 10 percento del budget (U.S.A.) del National Cancer Institute è destinato alle cause ambientali e nonostante sia riconosciuto che la maggior parte delle cause ambientali ha un nesso con la nutrizione, meno dell’1 per cento del budget di cui sopra è destinato agli studi sulla nutrizione. Ed anche per un così piccolo importo è stato necessario obbligare l’Institute tramite un emendamento speciale del National Cancer Act nel 1974.”